ho vissuto da bambino gli anni 70 fino ad arrivare all'adolescenza negli anni 80. Sono cresciuto con mamma rai e con le atmosfere ovattate di una cittadina di provincia, la città della camomilla. Vivevo quegli anni in playback come i Sanremo degli anni 80, e guardavo la serie de "i sopravvissuti", dove un virus nuovo, terribile, contagioso e mortale, si propagava per tutto il mondo. .
Ambientato in Inghilterra, si trattava di una comunità di sopravvissuti, formatasi un pò alla volta, dove i sopravvissuti, appunto, vagavano in cerca di cibo nelle incantevoli campagne inglesi, con tanti sbandati a piede libero. Questa comunità non era molto aperta, proprio per garantire l'ordine e la buona salute di tutti, e dove vigevano leggi stabilite in maniera democratica riguardante i rapporti fra di loro, le competenze, gli affidamenti dei compiti.
Avevo meno di dieci anni, mi è rimasta impressa una delle ultime puntate, dove un innocente, un uomo mite, sulla sedia a rotelle, venne ritenuto ingiustamente colpevole di un omicidio dove invece l'assassino, un essere dall'aspetto ribrezzante e viscido uccide una ragazza, non prima di tentare di violentarla. Ricordo bene, che il mio animo acerbo, venne messo a dura prova da quella situazione, dal viso implorante pietà di quell'uomo sulla sedia a rotelle e che innocente dopo un processo sommario, e dopo le votazioni della comunità, venne deciso di terminarlo. Ho rivisto tutte le puntate de i sopravvissuti, dopo che qualche anno fa, sono state rese disponibili dalle teche rai, in cd venduti nelle edicole. A distanza di più di quaranta anni dall'ultima visione, non vedevo l'ora di tornare a quella puntata, a quel bambino di 8, 9 anni che seduto in maniera anomala e scoliotica sul divano in tessuto beige, veniva catapultato in storie più grandi di lui, e che l'eterna curiosità della vita la condensava davanti ad una tv in bianco e nero di 12 canali o poco più.
A scapito del mio essere ipersensibile, siccome non mi facevo mancare nulla, ero altresì rapito dai cartoni animati giapponesi che cominciarono ad arrivare copiosi in quegli anni. I cartoni animati giapponesi di quell'epoca, a partire da Candy Candy, per poi arrivare a Capitan Harlock, passando per Dolce Remy, per dirne qualcuno, erano un concentrato di eventi negativi, di sfortune, mancanze, da cui si dipanavano dunque delle sceneggiature di origine nipponica, tristissime, malinconiche che hanno senza dubbio traviato anch'esse la mia infanzia. Così continuo ancora in questi tempi moderni, a trafiggermi il cuore, a percuotere le mie ossa, ad inseguire le mie ombre, guardando avidamente le opere di Miyazaki, catena di congiunzione con i miei fantasmi da bambino, non nascondendo di coinvolgere anche la mia prole, in questo autolesionismo fantastico.
p.s. per chi volesse iniziare questo viatico di sorpresa, di lotta ed intreccio fecondo fra bene e male, consiglio di iniziare con "il castello errante di Howl", magnifico esempio del fatto che il nero non è sempre nero, e che il bianco non sempre è immacolato.
03 aprile 2020
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